Postojali, l’estremo sacrificio del Battaglione “Verona”

0

«Avanti Verona!» riecheggia nella lastra di gelo e neve della steppa russa. È il 19 gennaio 1943. Manca qualche giorno alle termopili di Nikolajewka – epilogo dell’infausta Campagna di Russia – e gli alpini veronesi stanno scrivendo una loro dolorosa pagina di storia: la battaglia di Postojali. L’esito sarà amaro: 436 morti del Sesto reggimento e la decimazione di uno dei suoi battaglioni, il Verona. Di quest’ultimo oggi il centro studi Ana di via del Pontiere, intrecciando i dati dell’albo d’oro dei caduti con quelli dell’Unione nazionale reduci di Russia, ha ricostruito l’elenco di morti e dispersi: una lista di 144 giovani che in ordine alfabetico va da Guido Albrigo, 22 anni di Gazzo morto a Postojali il 19 (finito in una fossa comune e riesumato nel 1994), a Italo Zocca, 24 anni di Bardolino, morto il 21. Tra loro la medaglia d’oro Marcello Piccoli, sergente maggiore, di Monteforte d’Alpone, 31 anni, caposquadra fucilieri. «Confrontando i dati dell’albo con quelli dell’Unirr emerge che oltre 140 alpini veronesi muoiono il 19 gennaio 1943», spiega Giorgio Sartori del centro studi. «Per alcuni è indicata la località di morte, Postojali, per altri c’è la dicitura “disperso” o “località non nota”, ma confrontando i dati dei diari storici i conti tornano».

Primo tentativo dell’armata italiana di rompere l’accerchiamento russo e aprire un varco alla ritirata, Postojali è una storia veronese. Il 18 gennaio, il Comando del corpo d’armata degli alpini vi invia il battaglione Verona. Il paese – forse già occupato dai russi o solo da pochi partigiani, forse composto da qualche isba o chissà (nessuno l’ha mai visto) – è lungo l’armeestrasse a circa 25 chilometri da Podgornoje. È un punto nevralgico per la manovra di ripiegamento dell’armata. Il comando lì vuole riunire tutte e tre le divisioni ripieganti dal Don.

Il Verona ha un compito di estrema importanza: occupare Postojali e sistemarsi a difesa aprendo così «la strada della salvezza e la libertà a migliaia di compagni», racconteranno i reduci nel volume del 1992 a cura di Vittorio Cristofoletti Battaglione Verona “Cimi”. È il varco entro il quale dovrà transitare la Tridentina e le truppe italiane, tedesche, ungheresi e romene in ripiegamento.

Dopo la lunga marcia dal Don, il battaglione, il 18 gennaio, è sistemato in un paesino. «Il mio piccolo termometro a spillo sul cappello segnava già 43 gradi sottozero, ma la scala arrivava solo a quella misura!», scriverà nel libro Enno Donà. Ci sono casi di congelamento: vesciche ai polsi come scottature laddove il vento della steppa è riuscito a penetrare negli inadatti cappotti degli alpini.

Nel tardo pomeriggio le cinque compagnie del battaglione sono caricate sui mezzi verso Postojali. Gli alpini vengono avvisati della probabile presenza di nuclei partigiani che potrebbero disturbare il ripiegamento. Ma la notizia è infondata: il Verona troverà ben altre forze a contrapporsi. Arriva a Repiewka, poche isbe abbandonate. Sulla destra, un bosco; sulla sinistra, dorsali candide e un’ampia piana spazzata dal vento e da un silenzio assoluto e l’indomani costellata di alpini che arrancano nella neve alta. 19 gennaio. Come sarà Postojali? Un nugolo di isbe sepolte dalla neve? Un paese? Nessuno ne ha un’idea. Ma all’improvviso eccola: una doppia schiera di isbe dalla quale si scatenerà la furia dell’armata rossa. «Verona avanti!» gridano i comandi mentre cadono i soldati. Gli alpini procedono sulla neve rossa del sangue di fratelli, compaesani, amici più cari. Postojali, ora nitida in tutta la sua ampiezza e fortemente presidiata, è un inferno. Il Verona combatte con la sola forza della disperazione fino all’ordine di ripiegare. È una disfatta. Cala la notte, ma non il sacrificio cui ancora il battaglione sarà chiamato nelle settimane successive, prima di giungere a casa. Maria Vittoria Adami