La sezione

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Sancassani e Pasini

Nasce l’Associazione Nazionale Alpini

L’Associazione Nazionale Alpini nacque all’ombra del Tricolore per iniziativa d’un gruppo di reduci, l’8 luglio del 1919. Al termine del conflitto mondiale 1915-18, fra i reduci che venivano congedati ed in particolare fra quelli che provenivano da Corpi e Reparti omogenei e ben affiatati fra loro, come gli Alpini, non venne meno – anzi si rinsaldò in maggior misura – quello spirito di solidarietà, di cameratismo e di fratellanza che li aveva contraddistinti e  sostenuti nel corso della dura guerra trascorsa. A mantenerli ancora più uniti contribuì anche la precaria e incerta situazione politico- sociale che ritrovarono al loro ritorno nella vita civile, dopo vari duri anni di trincea. Non solo, come a volte accade quando non c’è chiarezza di idee, essi divennero subito bersaglio d’una serie di decise ed ingenerose campagne denigratorie – supportate da accese manifestazioni antimilitariste – quasi fossero loro, in definitiva, i responsabili della guerra e fossero, per di più, “colpevoli”… d’averla vinta! D’altronde in questa strana presa di posizione pesavano i circa 600.000 morti e altrettanti fra feriti, congelati e mutilati che avevano costituito il duro prezzo da pagare per l’annessione all’Italia dei territori di Trento e Trieste, dell’Istria e della Dalmazia. Per naturale reazione e contrapposizione a questo stato di cose – che colpiva ingiustamente la gran massa dei reduci – in breve tempo s’andarono a costituire, istintivamente, diverse Associazioni d’Arma. Tra queste vi fu quella degli Alpini. Un gruppo di questi ul-timi, infatti, avevano cominciato ad incontrarsi – dalla primavera del 1919 – in una birreria sita nel centro di Milano, di proprietà dell’Alpino Angelo Colombo. Avevano tutti qualche ferita di guerra addosso, dell’azzurro sul petto, pochi quattrini in tasca ed un profondo senso di delusione per la ritrovata “borghesia”. Ma erano sempre ben vivi anche l’amor di Patria, la Fede negli ideali ed in quel cappello con la penna, con cui avevano giocato a rimpiattino con la morte, negli anni di guerra. Frequentatori abituali della stessa birreria erano anche diversi soci del Club Alpino Italiano. E fu proprio presso la sede di Milano del C.A.I. che – il 12 giugno 1919 – il Capitano Arturo Andreoletti presentò ai presenti una sua proposta che prevedeva di riunire in una sola grande famiglia tutti gli Alpini: Ufficiali, Sottufficiali e Soldati che avevano prestato servizio nel Corpo – in pace ed in guerra – oltre a tutti coloro che avrebbero prestato servizio nel Corpo degli Alpini in futuro, in modo da garantire continuità al sodalizio, in avvenire. Lo scopo primario era quello di rievocare i ricordi di guerra, che erano rimasti ben vivi in loro, dei commilitoni caduti, dei sacrifici compiuti, affermando di volersi mantenere uniti come lo erano stati in trincea fra i disagi e le privazioni. Si trattava di un concetto nuovo per quel tempo, un esempio di democrazia che gli Alpini di oggi sono lieti di additare in quanto risale a quasi 85 anni fa! Quel concetto di democrazia – senza distinzione di grado, di condizione sociale e di ideologia politica – che dovrebbe sottendere ben altra politica! Una grande famiglia “verde” che è passata integra ed indenne attraverso le vicissitudini, le peripezie, le guerre, i lutti che hanno funestato la nostra Nazione in questi ultimi 85 anni. Approvata all’unanimità – dopo ampia e dibattuta, ma fattiva discussione – la proposta dell’Andreoletti, i soci promotori (circa 80) si riunirono l’8 luglio successivo, in una sala dell’Associazione Capimastri, di via Felice Cavallotti, sempre a Milano, per discutere i contenuti dello Statuto che si sarebbe dovuto approntare di lì a poco, nel corso della seduta. Da quel giorno l’Associazione Nazionale Alpini fu una magnifica realtà! L’assemblea nominò all’unanimità Presidente dell’Associazione il decoratissimo Magg. On. Daniele Crespi (del 6° Alpini, Btg. “Verona”), Vice Presidente il Cap. Arturo Andreoletti (del 7° Alpini) e Consiglieri vari altri reduci di guerra. Piace ricordare come, all’inizio di vita dell’A.N.A., furono prese alcune decisioni alquanto… strane! Non vennero ammesse in seno all’Associazione, infatti, le “Penne Bianche” (cioè gli Ufficiali Superiori), gli Ufficiali medici ed i Cappellani militari! Tale decisione venne, poi, ben presto disattesa e non codificata ma restarono invece fuori dalla novella Associazione gli Artiglieri da Montagna, che l’anno successivo si costituirono in un sodalizio autonomo, per confluire poi, solo nel 1929, nell’Associazione Nazionale Alpini. Da quei giorni lontani, l’Associazione Nazionale Alpini fu una realtà. L’A.N.A. trovò sede in Galleria Vittorio Emanuele, in un locale del Ristorante “Grande Italia”. L’Associazione, in futuro, restò sempre a Milano, con esclusione del periodo dal 1929 sino alla fine della 2ª Guerra Mondiale, in cui si sposterà a Roma. Come primo atto compiuto dalla neonata Associazione, nella sede milanese fu l’esposizione esterna del Tricolore. E quando – per timore di disordini – la Questura vorrà far togliere quel Tricolore, uno dei pochi rimasti esposti in tutta Milano, gli Alpini, unanimi, rifiutarono sdegnosamente l’invito ed inchiodarono la Bandiera all’asta di sostegno, mantenendovela fino alla sua sostituzione per deterioramento naturale.

La Sezione A.N.A. di Verona al via

L’ 11 aprile 1920, un refolo di quel “venticello” che aveva così bene ispirato i fondatori dell’A.N.A. di Milano decise opportunamente di allargare la sua zona d’interesse e cominciò a soffiare anche verso le terre scaligere. E così – ben presto – quel novello “spiffero” cominciò a diffondere la notizia della costituzione dell’A.N.A. anche in… riva all’Adige, trovando subito e con grande facilità terreno fertile nella ridente Verona e dintorni. Gli Ufficiali del Deposito del 6° Reggimento Alpini, di stanza nella caserma “Pallone”, avevano “requisito”, quale loro “Circolo” per i momenti liberi, le due stanzette superiori del noto “Caffè Europa” (l’ex caffè Militare del periodo austriaco e seguente, posto all’angolo di Via Roma, con Piazza Brà, dove oggi opera una filiale di una nota banca). Fu lì che una bella sera un “Tenentino” proveniente da Milano diede la notizia che in quella città era stata organizzata una “Lega” – ben diversa dalle tante che sorgevano qua e là – e che aveva lo scopo di tenere uniti fra loro gli Alpini. Il dado era tratto, la volontà era ferrea, l’entusiasmo irrefrenabile e fu così che sulla spinta di alcuni bempensanti nacque l’embrione dell’A.N.A. veronese. I primi adepti furono gli Ufficiali e i Sottufficiali ancora in servizio, ma a radunare gli “scarponi” borghesi ci pensarono la ben nota barba del Tenente Stevani ed il buon Ciccio Altinà – che con l’aiuto di una sorta di benevola “quinta colonna”, operante indisturbata in seno al Deposito del 6° Alpini – cominciarono a divulgare a chi di dovere i nominativi dei giovani congedati; a questi fu mandato un invito per l’iscrizione al sorgente gruppo associativo. Il compito era alquanto arduo, non certo perché gli Alpini fossero restii all’iscrizione, ma perché era il particolare momento di smarrimento politico che non favoriva tali iniziative ed i primi aderenti furono, invero, molto pochi. Ma da quando in qua le difficoltà hanno mai spaventato gli Alpini? Fu così che bastò quella manciata di simpatizzanti di buona volontà affinché in breve tempo questi si moltiplicassero, per gettare il buon seme. Alla prima modesta assemblea, quei “borghesi” sentirono tutta la bellezza dell’affetto e dello spirito alpino che li legava alla grande famiglia dei “Verdi”. Il lavoro di penetrazione fra la massa di “scarponi” – sistematico e ficcante – cominciò ben presto a fare breccia fra le incertezze e le ubriacature politiche del dopoguerra, non fece attendere per dare i suoi frutti e le iscrizioni, quindi, furono sempre più numerose. La simpatia per gli Alpini era in verità la migliore alleata. È da ricordare l’episodio del 4 novembre 1919, allorquando c’era chi se la prendeva con il simbolo della Patria, il Tricolore. Sull’angolo dell’edificio sede del Gruppo, prima ancora che si costituisse la Sezione, era esposto un Tricolore. Verso sera dei malintenzionati si presentarono chiedendo il ritiro della Bandiera. I soci presenti li affrontarono decisamente, anche se in pochi, e con tanto di cappello in testa (i cappelli li tenevano sempre in sede); si diressero verso i caporioni, decisi a far rispettare, a tutti i costi, quel Tricolore. Come quei tali seppero che quel vessillo apparteneva agli Alpini, se ne andarono ed il Tricolore sventolò per cinque giorni consecutivi, senza che alcuno si permettesse di farlo oggetto di offesa. Il buon senso ed il cappello alpino avevano vinto. Un fatto analogo accadde anche a Cadidavid, ma là, di “guardia” c’era don Bepo Gonzato, Cappellano Alpino reduce dell’Ortigara. Il 4 novembre 1919, egli diede al vento il Tricolore sul campanile della chiesa parrocchiale. Qualcuno, “in alto” – male ispirato – ebbe la peregrina idea di mandare un funzionario di Pubblica Sicurezza per intimare a don Bepo di ammainare il Tricolore. E qui la storia diventa leggenda, tante sono le versioni sul reale tenore del colloquio fra il “vecio” dell’Ortigara e quel malcapitato delegato che doveva eseguire un ordine prefettizio. Solo chi abbia avuto la fortuna di conoscere don Bepo può immaginare che cosa si siano detti. Fatto sta che il Tricolore continuò a sventolare orgogliosamente sull’alto del campanile, mentre gli Alpini gli montavano la guardia. Intanto, nel dicembre dello stesso anno, il Cap. Guido Pasini, che si trovava in forza al 7° Reggimento Alpini, a Belluno – in attesa del sospirato congedo – incontrava il suo vecchio amico e compagno di militanza nel Btg. “Belluno”, il Cap. Arturo Andreoletti, già “borghese” e vice Presidente Nazionale dell’A.N.A., appena costituita. Parlarono fra loro della nuova Associazione e dei suoi chiari scopi: fu come buttare benzina sul fuoco! Pasini si precipitò a Verona dove trovò il terreno già pronto per la semina. Il 20 marzo 1920, infatti, in una saletta superiore del Caffè Europa, ormai… “alpinizzato”, si riunì un “plotone” di soci fondatori, esattamente 32, per costituire ufficialmente la Sezione di Verona dell’A.N.A. Se non andiamo errati con le date, Verona fu la quarta d’Italia ad essere costituita, dopo Torino, Verbania e Como. Doveroso ricordarli, i fondatori: Angelo Adamoli, Calogero Argento, Francesco Attinà, Sandro Baganzani, Giancarlo Bagattini, Gedeone Besenzon, Enrico Bombonato, Arturo Bussinelli, Uberto Caceffo Consolaro, Piero Carlotti, Guido Cometti, Luigi Dal Lago, Olindo Ermini, Armando Frisara, Ugo Forlani, Antonio Lavagnoli, Pietro Luccioli, Leonzio Lonardoni, Eugenio Nenz, Guido Pasini, Ludovico Portalupi, Pietro Posenato, Omero Pozza, Gustavo Rigo, Luigi Sancassani, Cesare Sperotti, Eustacchio Stevani, Giuseppe Tea, Gino Tommasi, Guido Zanini. Alla prima – ridotta ma entusiastica – assemblea era presente anche il Presidente Nazionale Arturo Andreoletti, da poco succeduto a Crespi. Per inciso va doverosamente detto che fu Andreoletti il vero fondatore dell’Associazione: fu lui che dette un forte impulso alla sua organizzazione e le conferì la particolare fisionomia, ancor oggi validissima. In quell’occasione fu eletto il primo Presidente della Sezione, nella nobile figura del Magg. Sancassani – noto avvocato del foro veronese – con segretario l’indimenticabile Stevani e cassiere il Sergente Nenz. Le file sociali s’ingrossavano decisamente, le adesioni fioccavano da ogni parte e in provincia cominciarono a prendere forma i primi Gruppi. Rapidamente si raggiunsero i 400 iscritti. Fu subito deciso all’unanimità che la novella Sezione doveva avere il privilegio del sostegno d’un Cappellano. Sondato il terreno, primo Cappellano fu eletto don Ferdinando Prosperini, il quale si rivelò di grande ausilio alla multiforme attività del Consiglio Direttivo, costretto ad arrangiarsi e ad inventare le prime strutture organizzative, partendo dal nulla. Appena costituita, la Sezione partecipò alla 1ª Adunata Nazionale che ebbe luogo nel 1920 sull’Ortigara; né avrebbe potuto essere diversamente, rappresentando quel monte l’altare del massimo sacrificio degli Alpini ed il simbolo della loro fedeltà al dovere. Nel 1921 venne benedetto il primo vessillo della Sezione, costituito da un drappo verde, di un metro quadrato, ornato da una sottile frangia d’argento e sormontato, nell’angolo sinistro, da un rettangolo tricolore di 30×40 cm. Esso venne benedetto nella basilica di Santa Anastasia da don Prosperini; qualche mese dopo venne benedetto ancora, in verità. Ciò avvenne in una trincea dell’Altopiano di Asiago per opera di padre Bevilacqua, già Cappellano del 5° Alpini. Qualcuno disse che probabilmente… repetita juvant! Speriamo sia stato vero. Nel frattempo era sorto il primo Gruppo della provincia: quello di San Martino B.A., che contava già oltre 100 soci. Fu fondato da due Alpini decorati con Medaglia d’Argento: Arturo Bussinelli e Leonzio Lonardoni. Nel 1921, la Sezione fu presente a Roma con i soci Pasini, Stevani, Cometti e Posenato alle solenni onoranze rese il 4 novembre, alla salma del Milite Ignoto. Il feretro – traslato dalla Basilica di Aquileia all’Altare della Patria, dopo che la salma fu scelta dalla vedova di una Medaglia d’Oro – era stato individuato tra 10 salme di Caduti ignoti raccolte in 10 località diverse dell’Italia Nord-Est, nei numerosi cimiteri di guerra colà esistenti. Alla fine dell’anno, dimessosi il primo Presidente Sezionale, fu nominato Presidente il Col. Carlo Marchiori, che resterà in carica per dieci anni: una scelta indovinata che si rivelò particolarmente felice. Acclamato “Papà degli Alpini veronesi”, fu tra i più fecondi della Sezione; la sua semplicità e la pronta disponibilità in qualsiasi occasione lasciarono una traccia profonda nel cuore di tutti. Alla sua morte, avvenuta nel 1958, gli venne dedicato un busto, posto in opera nel cimitero di Verona. Una rappresentanza della Sezione partecipò, quindi, alle celebrazioni per il 50° anniversario della fondazione delle Truppe Alpine – svolte a Trento – dove sfilarono circa 1.000 veronesi. Con l’ingrandirsi della Sezione fu chiaro che era necessario ricercare una nuova sede più consona e ampia, che fu trovata nell’ambito di Palazzo Carlotti, in corso Cavour, n° 2. Nel frattempo ebbe inizio una delle opere più significative della Sezione: don Bepo Gonzato – aiuto Cappellano della Sezione – coadiuvato da Armando Frisara, Babila Falzi, Sante Zorzi, Luigi Oliboni e Nicola Giannesini, organizzò i lavori per la ricerca e raccolta dei poveri e gloriosi resti dei Caduti sul Monte Ortigara, oltre alla loro sistemazione nel Sacello Ossario e del Rifugio Cecchin. Per diversi anni essi si trasferirono sul posto con altri volontari, durante la stagione estiva, per il proseguimento e completamento dei lavori intrapresi.

tratto da “penne nere veronesi”